giovedì 18 febbraio 2016

Scrivere a mano (e riconoscere un'antica betulla)



Dunque da qualche tempo ho iniziato a sistemare appunti, interessi, scritture varie nei miei molti quaderni e contenitori. Scrivo su quaderni e quadernini da sempre e da sempre le cartolerie, ma anche gli appositi reparti dei supermercati e dei grandi magazzini, hanno per me un effetto magnetico: il supporto su cui annotare citazioni, riflessioni, racconti, sogni, spunti per articoli o laboratori, così come le varie penne e pennine colorate, fosforescenti, con brillantini aggiunti e ogni altra fantasticheria luccicante, costituiscono una parte fondamentale dei miei processi creativi. Nella borsa astuccio, quaderno e agenda sono onnipresenti, perché non si sa mai e perché magari trovo il tempo di sedermi da qualche parte, in un locale che mi ispira, ordinare una tazza di tè o di cioccolata calda se siamo in quella speciale parte dell'anno, leggere e scrivere. L'abitudine a lavorare o semplicemente dedicarsi a qualcosa che mi è indispensabile, come tenere varie forme di diario, nei locali me la porto dietro da Londra, dove è molto più comune che in Italia rifugiarsi in un cafè con computer e libri, e passare lì anche tutto il pomeriggio accompagnati da varie bevande. E non solo studio e scrittura: allo Starbucks o in qualche cafè indipendente di Crouch End, nel nord di Londra incontravo spesso la solita signora con la borsa del lavoro a maglia, impegnata in un interminabile uncinetto. Oppure ovviamente scrivo a casa, di sera, e, ora che ce l'ho, davanti al caminetto acceso, o sul letto con le gambe incrociate e i gatti che mi osservano (ma più spesso dormono della grossa). 

Fondamentali per l'Arte di Decorare i Quaderni, del trasformarli insomma in Grimori Scarabocchiati, sono i luoghi dello spaccio: quando abitavo a Londra ero una delle tante persone irrimediabilmente corrotte dalla presenza di Paperchase, ora gravito attorno a Tiger ogni volta che vado a Firenze per lavoro. Ma nessuna catena, per quanto fornita e stordente, avrà mai il potere incantatorio delle vecchie cartolerie del tempo della scuola. Ho acquistato i tre quaderni della foto da Prezzemolo, una delle rarissime cartolerie del centro di Pistoia che è lì e sopravvive da decenni. Mi fa piacere quando posso comprarci qualcosa, mi ricorda di quando ogni giorno salutavo un'altra cartoleria a gestione familiare, La Betulla, che si trovava proprio davanti alle medie e che prendeva il nome dall'albero che si alzava accanto all'entrata. Si saliva le scale, si superava un piccolo cancello e ci si trovava davanti alla vetrina dei sogni, con tutti i personaggi reclamizzati alla tv o sui giornalini e con altre sorprese da scoprire scelte dai cartolai stessi. Erano gli anni in cui si scriveva a mano, gli anni in cui per i compleanni ti potevano benissimo regalare set di carta da lettere e diari con il lucchetto, perché i computer erano un concetto remoto e tutt'al più in casa c'era la macchina da scrivere nello studio di qualche adulto. Anche quando non si aveva grande voglia di andare a scuola ci si poteva consolare con il pensiero della Betulla dove entrare e fare un giro d'esplorazione in attesa della paghetta o dei regali di compleanno.
Il bello della cartoleria è che c'era un po' di tutto: pennarelli, giocattoli, libri e stranezze. I proprietari ne sapevano una in più di te, che entravi con l'illusione di scovare l'Exogino mancante ed uscire con un fantastico caleidoscopio di cartone. E poi, quel nome di albero, un albero dei doni come nella Cenerentola dei Grimm, come un Natale che non si esaurisce mai, che fiorisce di gommine colorate e di penne profumate. Certo dall'altra parte della scuola, dirigendosi verso il torrente, c'era la cartoleria rivale, l'Erbavoglio. Mi ricordo questa divisione in classe fra chi tornando a casa si fermava nell'una o nell'altra, a seconda del percorso. Due diversi pianeti che non offrivano affatto gli stessi oggetti del desiderio. Se andavo all'Erbavoglio quasi temevo che i cartolai della Betulla me lo leggessero in faccia, lo sapessero che avevo deviato dal cammino.

Ora ci passo accanto quando vado a farmi i capelli. Sospiro e spero che i rotolanti abbassati si rialzino su quel microcosmo di colori e nomi assurdi, di oggetti tanto inutili quanto voluti come se fossero i più potenti dei talismani. Come tutte le cose che non ci sono più o non sono più le stesse, vedo La Betulla con gli occhi interiori del passato. Lì, suona di tanto in tanto la campanella della fine delle lezioni. Io ho mille lire da spendere e un astuccio verde con delle torte disegnate sopra da riempire. Ho moltissimo da colorare, copiare, inventare. Ho per sempre dodici anni.





Nessun commento:

Posta un commento