martedì 17 aprile 2012

Poesie di Arsenij Tarkovskij

La steppa


La terra da sola ingoia se stessa,

e caccia la testa nel cielo,
rammenda vuoti della memoria
ora con l’uomo, ora con l’erba.

L’erba sotto un ferro di cavallo,

l’anima dentro un telaio di ossa,
e solo una parola, una parola
nella steppa traluce sotto la luna.

S’addormenta la steppa come morisse

e sui kurgani grossi macigni
giacciono, sono monarchi guardiani,
fradici, ebbri di stagno di luna.

Per ultima muore la parola.

Ma il cielo s’incammina mentre
una punta di acqua passa di nuovo
attraverso il rigido scudo di terra.

Soffia di lappola la mano destra,

scintilla la sella di cavalletta,
pettina l’ala piena di sonno,
arcobaleno, l’uccello di steppa.

Fino alle spalle nel latte blu-grigio

dal paradiso Adamo è nella steppa
e il dono franco di parola ragione
restituisce agli uccelli e alle pietre.

Il delirio d’amore dell’autocoscienza,

l’anima, infonde a radici di erbe,
i loro nomi trepidanti
ancora nel sonno ha ricreato.

Traduzione di Stefania Sini





***


Vita, vita


1


Nei presentimenti non credo e i presagi non temo.

Non fuggo la calunnia né il veleno,
non esiste la morte: tutti siamo immortali
e immortale è ogni cosa. A diciassette anni
non bisogna temere la morte né a settant’anni.
Essere e luce solo hanno realtà,
non hanno esistenza le tenebre e la morte.
Siamo già tutti sulla riva del mare
e sono tra quelli che traggono le reti
mentre balugina accanto l’immortalità.

2


Abitate la casa e questa non crollerà.

Evocherò un secolo qualunque
per entrarvi e costruire la mia casa.
È per questo che i vostri figli e le mogli
saranno con me a tavola.
Un’unica tavola per l’avo e il nipote.
Si compie ora il futuro
e se sollevo la mano
come cinque raggi saranno a voi le mie dita.
Come gli Urali ho attraversato il tempo,
l’ho portato sulle mie spalle,
come un agrimensore l’ho misurato,
fortificato ho sostenuto i giorni trascorsi.

3


Un secolo sceglievo a mia misura.

Andavamo a sud,
attraversammo nella polvere la steppa
l’erbacce fumigavano. Il grillo malizioso
toccava con le antenne i ferri del cavallo
e come un monaco profetava la mia sventura.
Ma fermato avevo il mio destino alla sella.
ed ora in futuro sulle staffe
mi sollevo come un bambino.

Mi basta la mia immortalità:

scorra il mio sangue da secolo a secolo.
Darei senza indugio la vita per un angolo certo di tepore,
se come un filo condotto non mi avesse
con il suo mobile ed aereo ago per le strade del mondo.

Traduzione di Amedeo Anelli


***


Nulla al mondo no, a cui tendere,

mi sarebbe stato prossimo,
oltre questo delirio infantile passeggero
della mia memoria mendica.

Il mondo attorno può risuonare,

ma più intensamente sento
il debole sussurro, il passo leggero,
la ferma voce del mio silenzio.

Entravo in una casa di vetro

con una bianca farfalla in mano,
e parlavo in una lingua
estranea ed oscura.

La farfalla stava sulla neve,

il ricordo è tormentoso
invano cerco le parole,
ne rimane solo un flebile suono.

Traduzione di Amedeo Anelli


***


Riflessione


Sentivo amaramente di non aver fatto molto,

la mia vita trascorreva senza concretezza,
e in me il bene si ergeva contro il male,
e la verità moriva dinanzi all’iniquità.

Non m’apparteneva l’infanzia,

ma ero dove la vita era latenza,
nel sangue degli avi,
sotto erbe in luoghi inoperosi,
e divenni il bersaglio dove iniziava la lotta
e per miracolo
oggetto della loro disputa.

Quando la sega penetra nel tronco,

quando l’occhio divino dell’animale braccato
è come acqua torbida imbevuta di caligine,
quando un bambino soffre e nei medici non ha più fede,
quando la prima gelata copre
il grano,
la taiga sconfinata arde dinanzi ai miei occhi,
non posso dire: “questo è il destino”,
e amaramente credo d’averne colpa.

La mia anima in tempo di guerra

come le tenebre era nera.
Ma è la vittima di tutte le lotte
che genera come la bestia,
anima mia, - mio genio protettore senza difesa –
inghiottendo la morte
si avvia ad aiutare il bene.
Tutto si tiene a questo mondo e tutto è solidale,
e se da sempre han combattuto per me le fronde del bosco –
fronda io stesso devo diventare
e ad ogni chicco devo prestare la mia voce.

Tutto si tiene a questo mondo e tutto

è solidale:
le costellazioni e la terra, l’uomo
e l’uccello.
E chi fa il bene si getta a capofitto
in un vortice maestoso
e non teme la morte,
emerge ancora e subito, come un nuotatore,
solidale per sempre all’onda
e infine non potrà dire lui stesso cos’è,
se stella, o terra, o uomo,
o uccello.

Traduzione di Amedeo Anelli


___


tratte da: Arsenij Tarkovskij, La steppa e altre poesie (Via del Vento edizioni, 1998)


Azzurra D'Agostino legge Riflessione e suoi testi

3 commenti:

  1. a proposito, mi permetto di segnalare questo, dove ne ho parlato diffusamente:
    http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b30eb5f0-d566-480c-8a74-628a167d5f26.html, dove s

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    1. grazie Azzurra! vado e ascolto - stasera mi rivedo Solaris, tra l'altro... l'unico film che mi manca, nel senso che non ho il dvd e non sono mai riuscita a vederlo! di Andreij T. è Sacrificio, accidenti.

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  2. che scema, ti ho già sentito! è per questo (e per l'importanza di essere piccoli) che ti ho messo il link sulla bacheca. poveramme. però bello risentirti leggere la poesia.

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