martedì 30 gennaio 2024

Essere grata

 Grazie a un post instagram delle Edizioni Black Coffee, scopro ieri che il 24 gennaio è morto Navarre Scott Momaday, lo scrittore Kiowa che ha ispirato il nostro festival nella Valle delle Buri, Custodi della terra, svoltosi nell'ottobre scorso. 



Con Custode della terra, libro poetico di frammenti e visioni sul paesaggio americano, abbiamo lavorato insieme, varie persone dei paesi, scrivendo in poesia e prosa a partire dalle riflessioni e dai racconti di Momaday. Abbiamo condiviso l'essere parte di un luogo, perché ci siamo nati o perché lì ci siamo riconosciuti. 

La morte di Momaday risuona nel lungo momento in cui abito, dove il dolore, il lutto, la perdita fanno male eppure chiedono soprattutto di imparare la gratitudine. Dovremmo dire grazie alla morte, anche quando ci spezza, quando arriva inattesa. E' difficile, sembra un paradosso. Viviamo spaventati dalla morte o nella sua rimozione, cercando di stare lontano dall'ombra, dalla profondità, dalla piccolezza che troveremo in fondo al pozzo del nostro essere. Eppure la morte in sé non ha niente di orrendo. E' il ritmo che ci scandisce, è ciò che permette di esserci amati e continuare a farlo nelle forme invisibili, ma concrete, della memoria. 

la conclusione del festival

Non sono grata per la morte dei miei affetti, del babbo, di Momaday che ho sentito come un parente prossimo grazie al miracolo della scrittura, dove siamo sempre restituite a noi stesse, dove scopriamo cose che non sapevamo eppure erano parte di noi - erano noi. Sono al contrario ancora in lotta e dentro una tristezza solitaria, incomunicabile che ridisegna tutta la mia vita. Ma sono grata ai doni che mi hanno fatto coloro che amo quando erano vivi. Sono grata alla possibilità di abbracciarli ancora nel mio corpo, nella mia persona. Sono grata al vento, ai sogni che a volte li riportano qui.

Ho scelto questa poesia di Momaday, traducendola, un testo dove l'autore incontra un animale nel sogno, cosa che capita spesso anche a me, lasciandomi in una sorta di incantesimo che dura nel giorno.


The Snow Mare


In my dream, a blue mare loping,

Pewter on a porcelain field, away.

There are bursts of soft commotion

Where her hooves drive in the drifts,

And as dusk ebbs on the plane of night,

She shears the web of winter,

And on the far, blind side

She is no more. I behold nothing,

Wherein the mare dissolves in memory,

Beyond the burden of being.


***

 

La giumenta di neve

 

Nel mio sogno una giumenta azzurra galoppa,

peltro su un campo di porcellana, via.

Piccoli tumulti esplodono

dove i suoi zoccoli affondano nei cumuli,

e mentre il crepuscolo declina nella pianura della notte,

lei taglia la rete dell’inverno,

e laggiù sul lato cieco,

sparisce. Non vedo più niente,

dove la giumenta si dissolve in ricordo,

oltre il peso dell’essere. 


Nel pomeriggio, a casa, contemplo un po' delle cose che mi hanno accompagnato in questi ultimi giorni, metto su un disco, coccolo i gatti, prendo qualche appunto per il prossimo incontro di òikos, la rassegna a cadenza mensile che ospito a casa mia (e non solo) ogni mese. 

Raccolgo i libri di Andrea Cassini che danno voce al senso della fine in un viaggio fantastico, catartico, verso la soglia o le soglie molteplici del tempo e dello spazio, nella sapienza di ibridi, fantasmi, streghe. Oppure dimenticano l'umano, per concepire un bosco grande quanto un'impronta, dove si ascoltano i linguaggi di tassi, gatti, cervi, uccelli dorati, orsi e di lupi. Creature, persone, che non uccidono se non necessario, come se portassero senza vergogna e paura la consapevolezza istintiva di tutte le fragilità che ci tengono al mondo. 



Mi fa compagnia un nuovo Mio Mini Pony, regalo di Maria Gaia Belli, cara amica scrittrice, evocatrice di draghi,  che mi ha ospitato a Torino la settimana scorsa per una presentazione alla libreria Trouvaille - bottega del fantastico tenuta con cura e amore da Novella, la sua libraia. E protetta da un autentico samovar,  nel retro!


Sono grata per l'amicizia che nasce attraverso le storie, le terre immaginarie dove comprendiamo il nostro sopravvivere, incontrarci, ritornare. 

Sono grata per questi due qui sotto, nella foto, che sanno essere autentiche pesti, ma riscaldano la solitudine. Dall'orso polare e dalla fine di gennaio è tutto. Splendete, anche se quanto ci resta è un sogno azzurro che presto diventa nebbia e stupore, prima del risveglio. 



Nessun commento:

Posta un commento