mercoledì 14 gennaio 2015

John e Solfamì

Nel dicembre del 1983 avevo otto anni e si avvicinava di nuovo il Natale. Nella programmazione festiva di Italia 1 apparve Il flauto a sei puffi, film d’animazione ispirato all’omonima avventura a fumetti firmata da Peyo. Fu la prima volta che i puffi, destinati a diventare uno dei miei cartoni preferiti di allora, arrivarono sullo schermo. Io che collezionavo i fiammiferini, le mimmine e ogni sorta di bambolino minuscolo che mi ricordasse un folletto, non potevo che affezionarmi agli omini blu, tutti uguali ma ognuno con una sua personalità, che abitavano pacificamente in un villaggio di case-fungo, dentro a un bosco magico. Il film aveva però per protagonisti non i puffi, ma una stramba coppia di eroi, il buon cavaliere John, il più fidato del re, e Solfamì, suo paggio, nanetto biondo a cavallo di una capra nera, stonato come una campana e tuttavia appassionato di canto, come di ogni strumento musicale. Ci vuol poco a capire che il vero personaggio centrale di tutta la vicenda è lui. Non lo sapevo allora, ma John e Solfamì (in francese Johan et Pirlouit) sono stati i precursori di tutto, la prima serie a fumetti disegnata da Peyo e pubblicata durante gli anni Cinquanta. In Italia i fumetti furono pubblicati sul Corrierino dei Piccoli tra gli anni Sessanta e i primi Anni Settanta, quando non ero ancora nata, o ero davvero troppo piccola per avvicinarmi al giornalino che poi mi avrebbe fatto compagnia per oltre dieci anni.

Oggi esce in italiano per la collana Lineachiara delle RW Edizioni, il primo volume delle avventure complete del cavaliere e del suo bizzarro compagno. Un’edizione ben curata, che raccoglie, oltre alle prime tre storie, una bella introduzione, fotografie e disegni degli esordi infantili di Peyo, all’anagrafe Pierre Culliford, nato a Bruxelles da madre belga e padre inglese – un bambino particolare che amava leggere i libri sporgendosi a testa in giù dal letto su di loro, aperti sul pavimento. Vi sono poi le tavole originali e le strisce in francese, tutte corredate da commenti e approfondimenti critici. E naturalmente le storie, che si animano in un medioevo favolistico, fatto di duelli e complotti, nobili cavalieri e re benevoli, torri e castelli immersi nei boschi e infiniti banchetti.  Il tratto ironico di Peyo
sottolinea i caratteri attraverso le fisionomie, regalandoci osti corpulenti, ma dall’espressione bonaria, i volti segaligni di chi trama dietro le azioni di cavalieri avidi e brutali, il naso rosso di chi è troppo incline al vino o il sorriso beffardo di una vecchia strega. Così facendo ricrea la nostalgia di un mondo vagheggiato quando eravamo piccoli e si può affermare che per molti lettori, anche per coloro che non hanno conosciuto i fumetti originali o quell’era felice dei giornalini italiani conclusasi con la fine degli anni Ottanta, davvero questi disegni hanno il potere di rievocare l’infanzia, come se non fosse trascorso un giorno da quando immaginavamo gesta valorose a cavallo di un bastone nell’orto. Nelle tre avventure presentate in questo volume seguiamo John nel suo apprendistato presso un cavaliere, poi lo ritroviamo alla corte del re di cui è ora l’uomo più fidato e infine nell’incontro cruciale con Solfamì e la capra Nerina. È qui che le vicende di John acquistano forza grazie ai modi stralunati dell’amico, che urla sguaiato il suo nome o quello della sua cavalcatura e si getta imprevedibile e risolutivo dentro uno scenario di duelli e principesse da salvare. Solfamì, testa bionda, abiti del colore degli essere fatati – scarpe e berretto rossi, vesti verdi -, è lo spirito stesso del fumetto, il sogno buffo di un bambino che non ha mai perso se stesso nell’adulto. 

Apparso su LANKELOT

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