mercoledì 4 maggio 2016

Territori, poesia, istituzioni: quindici anni di resistenza (dal numero 1 del giornale Palomar)

Pubblico integralmente il mio scritto per il primo numero (gennaio-febbraio 2016) del giornale  dell'Associazione Palomar. In attesa di Pistoia Capitale della Cultura 2017, mi pare opportuno.

L’8 luglio 2015 presso Villa Stonorov ha aperto i lavori del convegno Palomar e la città l’incontro seminariale: “Crescere ai margini: la poesia, i territori, l’ascolto negli anni zero. Quindici anni di resistenza tra l’Appennino Bolognese, Pistoia e Firenze”. Coinvolti alcuni curatori di importanti manifestazioni legati alla poesia sul territorio: Vittorio Biagini (Associazione Laboratorio Nuova Buonarroti, Firenze), direttore di Voci lontane, voci sorelle, festival fiorentino di portata internazionale, di cui si è svolta questo settembre la tredicesima edizione; Daria Balducelli curatrice insieme ad Azzurra D’Agostino (Associazione Sassiscritti, Porretta Terme) del festival appenninico di poesia e canzone d’autore L’importanza di essere piccoli, quest’agosto alla sua quinta edizione e da due anni presente anche nel comune di Pistoia per una data al Castagno; me medesima, in qualità di ideatrice del piccolo festival di poesie, Perché tale è la mia natura, che si è svolto per due edizioni a giugno, presso il circolo Arci Le Fornaci a Pistoia; Nicola Ruganti, moderatore e presidente di Palomar, l’Assessore alla Cultura Elena Becheri e la Presidente della Commissione Cultura del Comune di Pistoia, Rosalia Billero.
I territori interessati sono vicini geograficamente e culturalmente e i festival e le iniziative promosse dagli operatori, che sono spesso poeti loro stessi, vanno a formare un calendario di appuntamenti estivi, con varie anticipazioni, iniziative collaterali, laboratori di lettura e scrittura durante il resto dell’anno. C’è inoltre una comunanza di intenti e di sentimento: la comunità assente, che non riescono a intercettare né a ricreare istituzioni attente per lo più ai dati numerici, ai grandi eventi e non al lavoro di ricerca, al valore sovversivo del gesto artistico e dunque alla naturale vocazione minoritaria delle arti tanto più sono autentiche, rinasce nei contatti e nella stima reciproca di chi si impegna per portare la parola nell’esperienza dei luoghi, dei lettori e dei curiosi, della gente di quartiere, delle realtà periferiche. Siamo lontani dai salotti patinati, da un’idea elitaria della letteratura o meglio se alla fine non sono certo le masse a essere raggiunte, ma un gruppo di individui, più o meno vasto, che inizia a camminare in quel bosco potente e ignoto del linguaggio, questo non è affatto composto da addetti ai lavori, ma da un’insieme imprevedibile di esseri umani che hanno sete, anche se magari non lo sanno, di vedere il mondo attraverso altri occhi, di commuoversi, magari, per il mondo non più tanto banale eppure semplicissimo, in cui si trovano a vivere. Anzi si potrebbe rimanere sorpresi da quanti pochi docenti scolastici, accademici, per non nominare gli impiegati dei vari uffici cultura e simili facciano capolino.  
Perché la poesia, perché portarla nei territori con la grande fatica di un lavoro quasi sempre poco retribuito, se non addirittura volontario? Il lavoro culturale infatti è caratterizzato dal costante precariato, da stipendi inesistenti o ridicoli, a meno che non si sia appresa bene la lezione italiana accodandosi al professore giusto, magari accettando di chiudersi fuori dal mondo dei vivi dentro le teorie senza piedi, chiudendosi perfino fuori dal mondo di quei libri che ridono e piangono e si concedono perfino di errare, perché si mescolano con le traversie dell’esistenza di ognuno, scrittrice, lettore, passante. Si continua non certo per dimostrare o aspettarsi qualcosa dagli enti che, nel migliore dei casi, assumono un atteggiamento assistenziale o celebrativo, non comprendendo che a nessuno di noi interessa sentirsi dire quanto è bravo – ci interessa, come a ogni essere umano, poter lavorare e lavorare bene, condividendo quanto sappiamo fare. Piuttosto il senso di quanto viene fatto sta proprio nell’ineluttabilità della poesia o delle poesie, declinandola in infinite varianti, in quella natura a cui non ci si può sottrarre, come ho cercato di mostrare con il titolo della mia rassegna pistoiese, esattamente come non si può smettere di respirare. Il senso sta anche in quel bisogno sempre più chiaro di condivisione, di quel particolare nutrimento che aumenta se aumentano i conviviali, che si rinnova nell’immaginazione, nelle terre dell’arte, ricordandoci che tutti e cinque i nostri sensi sono doppi: annusiamo, assaggiamo, tocchiamo, ascoltiamo, vediamo con il cuore oltre che con gli organi preposti dei nostri corpi. E l’intelligenza del cuore va costantemente allenata alla curiosità come all’attesa di una parola diversa che tiri fuori la meraviglia dalla bruttura. Quello che accade quando una persona come noi cerca sostegno economico e appoggio presso gli enti di questo paese sciagurato, è spesso umiliante: ci si aspetta con qualche illusione di essere accolti e di poter strutturare progetti per il bene comune, si trovano tempi di attesa ridicoli, l’ignoranza supponente di chi magari un posto fisso statale ce l’ha e non può perdersi dietro ai pazzi; o peggio si trovano parole sciocche e condiscendenti di direttori, dirigenti, amministratori che hanno davvero confuso gli organi di senso e le loro funzioni. Più rari sono gli esempi di istituzioni attente e solidali, e in quei casi le economie sono sempre scarse. E tuttavia accanto a questo scenario poco rassicurante nel tempo abbiamo imparato a riconoscerne un altro, fatto di comunissime persone - abitanti di frazioni montane e collinari, tagliati fuori per età o locazione dai contesti urbani; ragazze e ragazzi che per loro conto hanno voglia di leggere e scrivere ben oltre i compiti scolastici e sanno che nei libri ci sono persone in carne e ossa, alleati, avversari, guaritori; individui che per caso capitano ad ascoltare una poesia e poi non sanno più farne a meno, perché le parole erano strane e il luogo bello, perché, parafrasando quanto pochi giorni fa mi ha detto una compaesana, la stanchezza e le difficoltà della vita non si alleviano andando a dormire, ma provando a raccontarci qualcosa di nuovo prima di prendere sonno.
Conosco molto bene le persone invitate al tavolo, alcune sono tra le mie amicizie più care e leggo le loro poesie con la gioia di incontrare qualcosa di mio che credevo perduto, ad altri devo l’esordio nel panorama letterario e il preziosissimo primo insegnamento per cui i veri maestri sono coloro che ti permettono di prenderti tutta la responsabilità dei tuoi dubbi come delle tue scoperte, che non mettono su un broncio stizzoso quando lasci il nido. Conosco soprattutto il desiderio di apertura e le capacità di gente come Vittorio, Azzurra, Daria. Tutti noi vorremmo che questo primo momento estivo fosse solo l’inizio di un processo di emersione di quanto già esiste: un dialogo costante, attraverso le pagine scritte e attraverso le voci, dentro cui nessuno parla più forte di un altro e dove il territorio non è frutto di una delimitazione geopolitica, ma il posto segreto in cui ci avventuriamo riscoprendolo luogo d’origine e d’approdo, una casa con le porte aperte che dà sulle nostre montagne come sulle vie urbane. Tuttavia per non perdere l’entusiasmo occorre quel minimo di risorse per sopravvivere, e per dire casa un luogo occorre sapere che sei accolta, altrimenti vai altrove. L’augurio è che il nostro altrove inizi proprio dove si è deciso di tornare o dove da sempre con coraggio ci si inventa una vita.


Francesca Matteoni, Santomoro, novembre 2015

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