domenica 10 giugno 2012

Madri, streghe, regine. Qualche appunto sulla visione di Snow White and the Huntsman

AAA, SPOILER: alla data del post il film non è ancora uscito nelle sale italiane dove sarà visibile dall'inizio di luglio.




 Se il 2012 è l’anno dei Grimm, bicentenario della prima pubblicazione dei Märchen, lo è, per il grande pubblico, soprattutto nella riproposizione filmica e televisiva di una delle loro più celebri fiabe Biancaneve. La serie americana Once upon a time (C’era una volta) è cospicuamente ispirata ed incentrata sulle vicende di una Biancaneve e di altri personaggi fiabeschi trasportati dal mondo incantato nel ventunesimo secolo in un paesino, Storybrook, nel Maine a causa di una maledizione della Regina Cattiva;  mentre ben due adattamenti cinematografici della fiaba sono usciti a breve distanza sul grande schermo. Premetto che non ho visto il primo,  la commedia Mirror, mirror di Tarsem Singh con Julia Roberts nei panni della Regina, e probabilmente aspetterò il rientro italiano per un cinema sotto le stelle. Sono invece reduce dalla recente visione di Snow White and the Huntsman dell’esordiente Rupert Sanders, una versione in teoria più fedele allo spirito cupo e violento della storia, che dopotutto ha a che fare con il tentato omicidio di un’adolescente con conseguente estrazione di organi vitali, come prova dell’avvenuto decesso.
La fiaba è nota: uno scontro mortale tra donne, basato sull’invidia, sul problematico rapporto madre-figlia, sull’incedere impietoso del tempo che avanza sopra la bellezza e la gioventù. Il film soffre di un sovraccarico di citazioni e rimandi ad altre pellicole, che però non si armonizzano in una storia davvero convincente; non ben pervenuto il ruolo degli attori, tranne che per i sette nani, che però nani non sono, ma attori, tra cui Bob Hoskins, miniaturizzati grazie al digitale. Il paragone più calzante è senz’altro quello con il film per la televisione Biancaneve nella Foresta Nera, del 1997, con una fantastica Sigourney Weaver nei panni di Claudia, matrigna di Liliana/Lily, la Biancaneve della storia. La pellicola, immeritatamente non passata sul grande schermo, si discosta parecchio dalla fiaba: non ci sono re e regine, ma un nobile e sua moglie, che durante un viaggio invernale in carrozza vengono aggrediti dai lupi; non i sette nani, ma sette vagabondi affamati, sfregiati e disertori (hanno rifiutato di unirsi ai Crociati) che cercano inutilmente oro nelle miniere; non il dramma della bellezza effimera, ma la pazzia di una madre che partorisce un feto morto; nessun Principe Azzurro, ma uno dei suddetti vagabondi; nessun cacciatore, ma il fratello muto e spaventato della matrigna stessa; e infine nessuna angelica Biancaneve, ma una ragazzina viziata e volitiva che imparerà a conoscere un po’ meglio il mondo uscendo traumaticamente dal castello. 
Sigourney Weaver e Monica Keena, Claudia-Strega e Lily-Biancaneve
Le somiglianze tra i due film sono molteplici:
- lo specchio liquido e tridimensionale di Ravenna, che assume le sembianze di un individuo incappucciato è quasi identico alla figura incisa sul guardaroba di Claudia che contiene al suo interno lo specchio malefico ed ha come serratura le stesse mani incrociate;
- Ravenna ha un fratello Finn, così come Claudia si porta dietro il fratello muto Gustav. I due differiscono assai nel carattere (complice crudele il primo; vittima terrorizzata il secondo), ma sono entrambi legati inesorabilmente alle sorelle;
- non ci sono Principi Azzurri
- un corvo è gli occhi di Claudia nella foresta nera; i corvi sono gli uccelli di Ravenna (raven, corvo in inglese)
- il confronto finale si svolge tra matrigna e figliastra
- sia Claudia che Ravenna con i loro sortilegi causano pestilenze e/o portano rovina nel paese

Tuttavia non è una critica filmica che mi interessa quanto un ragionamento personalissimo sui vari temi che ricorrono nella nuova versione, riassumibili in questi punti/elementi:

1. Il sangue.
Biancaneve nasce dal sogno della Regina madre che vedendo il contrasto tra il vermiglio del suo sangue e il pallore della neve, desidera di avere una bambina, bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l’ebano della cornice della finestra o come le piume del corvo. Nel film la Regina si punge con le spine di una rosa dentro uno scenario invernale e la magia si compie. Ma il sangue è all’origine anche dei poteri malefici della strega, qui chiamata Ravenna, da “raven”, corvo. Siamo proiettati indietro nel tempo: una Ravenna bambina ed il fratello Finn, sopravvivono al massacro del suo villaggio. Prima di perderli la madre getta l’incantesimo della bellezza (e del potere) sulla figlia, mescolando tre gocce del sangue della bambina in una tazza di latte.

Snow White, Illustrazione di Angela Barrett

Sangue e latte – in alcune varianti italiane di Biancaneve, il biancore del latte (o della ricotta) sostituisce la neve, ed è un principe a desiderare una simile fanciulla.
Nelle idee mediche antiche, fino a tutta l’età moderna, il latte non è che un sangue raffinato e salutare che contiene tutte le caratteristiche positive del liquido e nessuna di quelle mortifere.
[Tra i malefici di cui le streghe moderne sono state accusate, il furto del latte (magicamente estratto dal bestiame), figura tra i più frequenti, assimilando le streghe agli esseri fatati scozzesi/irlandesi, da sempre considerati grandi consumatori di latte. Il latte, primo nutrimento dei cuccioli e dei bambini, assicura la forza vitale.]
Biancaneve, the fairest of them all (la più bella di tutte), ha la sua virtù non tanto nell’aspetto esteriore, quanto in quello interiore. In termini fisici è ancora una questione di sangue. Da lei provengono sia la distruzione di Ravenna che la soluzione al problema della regina: mangiando il cuore di Biancaneve, infatti, la sua bellezza diventerebbe eterna. Ritorno più avanti sul “cuore”. Lo scontro in termini di sangue (the fairest blood, sangue più bello, ma anche più giusto), che vedrà Biancaneve vittoriosa sta nelle qualità contenute nel fluido, compresa l’anima e i sentimenti.
Pur se l’anima non viene mai rammentata nel film (né nella fiaba), lei è presente nel simbolismo del cuore e in quello degli uccelli che accompagnano sia Ravenna che Biancaneve.

2. Il cuore.
In una scena piuttosto disgustosa si vede la Regina nutrirsi, tramite apposito anello uncinato, delle viscere calde e dei cuori di uccelli appena uccisi. Stessa sorte dovrebbe toccare al cuore di Biancaneve. Secondo la solita medicina moderna il cuore è la sede delle passioni umane, nel cuore, come nella testa, l’attività dell’anima e degli spiriti – secondo la nozione aristotelica di anima tripartita in spiriti animali, vegetali e naturali - portati dal sangue è più potente.
Dalla Biancaneve disneyana tutti siamo abituati al famoso cofanetto che dovrebbe contenere il cuore della principessina. Quello che non sempre si sa è che in alcune delle versioni presentate dai Grimm al posto del cuore ci sono il fegato e i polmoni. Secondo un’incerta fonte folklorica inglese, nella terra di Vandea, mangiare il fegato e i polmoni di ragazze morte anzitempo è un metodo per preservare la propria bellezza. Quello che invece è certo è che il fegato era assai più importante del cuore nei discorsi medici antichi, essendo il luogo fisico dove gli spiriti venivano generati. I polmoni non sono così altrettanto rammentati, ma visto che fino al diciassettesimo secolo erano visti come una sorta di materia sanguigna condensata, la loro diretta parentela con il sangue né fa organi altrettanto preziosi in pratiche magico-vampiresche.

Vrikolakas, Vampiro greco
3. Vampiri.
Ho parlato di vampiri perché Ravenna, predando la bellezza di giovani donne per mantenere la sua propria, si comporta proprio come tale. Non sto ovviamente sostenendo che il regista sia/fosse consapevole del sostrato folklorico, tuttavia il rimando, pure inconsapevole, è così impressionante che merita una digressione. Ravenna aspira/succhia l’energia dalle ragazze che il fedele e inquietante fratello le porta, tenendole per il collo, ovvero quasi strangolandole. Ebbene, alla faccia delle pelli glitterate e del fascino pallido dei vampiri del ventunesimo secolo, ma anche in barba alle zanne dei vampiri letterari del diciannovesimo secolo, il vampiro folklorico, creatura ragionevolmente putrida, sporca e vestita di stracci, essendo un morto redivivo, spesso un suicida o la vittima di una pestilenza, dell’Europa orientale e centrale, non morde la sua vittima, pur drenandone sangue e vita, ma la strangola o la opprime, poggiandosi con forza sovrannaturale sul petto. Di nuovo c’è una corrispondenza tra sangue/respiro/polmoni, che fa della Regina, una sorta di vampira.

4. Veneficio.
Come succhia la gioventù dalle donne, Ravenna contamina anche il paese, facendo del regno una vera e propria “terra desolata”. Le streghe erano in sé stesse creature venefiche, che contagiavano individui, bestiame e natura con la loro presenza. Nei trattati demonologici si diceva che provocassero tempeste, siccità e altre catastrofi. Per contro la presenza di Biancaneve, legittima Regina, ristabilisce l’equilibrio naturale, le stagioni, riporta la pace e la fiducia nelle creature. Basti vedere per questo la scena dell’incontro con il troll che aggredisce il cacciatore, ma viene ammansito dallo sguardo della ragazza. Una lunga tradizione medievale vedeva i re francesi e inglesi quali taumaturghi in grado di curare con l’imposizione delle mani la scrofola e altre malattie orrende. Nella ricerca per il Santo Graal, rendendo la salute al re pescatore, afflitto da un malanno misterioso, tramite la sacra coppa da cui dovrà bere si potrà risanare il paese. E, visivamente, come non si può pensare all’esercito di Orchi del Signore degli Anelli, creato nel profondo della terra, che avanza distruggendo gli alberi e la natura, in contrasto con il rigoglio delle residenze elfiche o della stessa contea. Biancaneve futura regina incarna lo stereotipo di una nuova madre che nutre e fortifica dove la strega depreda e guasta. Il simbolismo femminile è rafforzato anche dal villaggio sull’acqua che ospita brevemente Biancaneve e cacciatore, abitato da sole donne, che si sono volontariamente sfregiate i volti per non finire vittime della sete di bellezza della Regina.

5. Gli uccelli.
Dei corvi e della Regina si è detto. Anche Biancaneve ha un rapporto speciale con i volatili, in particolar modo due gazze che la guidano fuori dalla torre dove è prigioniera e che più tardi si riveleranno essere animali-fatati, che concretamente ospitano al loro interno due fate in miniatura. Forse è obsoleto ripeterlo, ma gli uccelli sono gli animali che più di tutti simboleggiano l’anima.

6. Il bosco delle fate.
Brian Froud, Pixie
Guidati dagli otto nani guerrieri Biancaneve e il cacciatore arrivano nel santuario delle fate, dove li attendono animaletti di ogni sorta, tartarughe con il guscio coperto di muschio, scoiattoli, volpi innocue e le due famose gazze da cui escono due fatine minuscole, che provengono dalle più recenti rappresentazioni di pixie e folletti, dal libro dei tardi anni settanta, Fate, di Brian Froud e Alan Lee (illustratore anche de Il Signore degli Anelli) in poi. Fate simili, anche se alate, si vedono anche in quel film infinitamente più compiuto, tragico, fiabesco, terribile e commovente che è Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro. Della natura dispettosa e non proprio dolce e amichevole di fate e folletti folklorici qui ovviamente non c’è nulla, così come non c’è memoria del fatto che ancora nel foklore le fate non sono alte dieci centimetri, ma sono generalmente in proporzioni umane. Caso diverso per i folletti, ma se ne parlerà un’altra volta. Ad ogni modo Biancaneve viene guidata fino al re del bosco fatato, uno splendido cervo bianco che le dà la sua benedizione. Il cervo è una figura nota, come re del bosco e creatura magica, nel folklore celtico e germanico. Il colore bianco, l’albinismo, non fa che conferire ancora più suggestività a questa figura, richiamando da vicino per esempio alcuni cervi e cerve bianche delle fiabe europee e il mito cosmogonico della renna bianca presso i Sami della Scandinavia. Aderendo esclusivamente all’immaginario filmico e non avendo visto Avatar (che ho letto essere tra i riferimenti per la scena del “santuario”), chissà, mi sono chiesta, se c’è qualcosa del Kirin, cervo dal volto umano, protettore della foresta degli spiriti, del film a cartoni animati La principessa Mononoke (1997) nato dal genio di Hayao Miyazaki.






7. I nani.
L’ultima nota va ai nani, otto e non sette, guerrieri direttamente imparentati con il Gimli del Signore degli Anelli, e con tradizioni celtico-irlandesi, dato che sanno suonare un violino (dubito che i Nani germanici tolkieniani siano altrettanto abili in questo); e sanno intonare lamenti funebri. I nani sono otto anche nella summenzionata serie televisiva C’era una volta. In entrambi i casi saranno ridotti a  sette dopo l’uccisione di uno di loro. E tuttavia per me restano indimenticabili i veri nani, capeggiati da Warwick Davis di Willow (1988) – questi qua invece me li sto già dimenticando.

Warwick Davis, Willow


Infine sull’aspetto oscuro della fiaba, ci sarebbe molto da immaginare sull’oscurità insita in Biancaneve stessa (nasce da un desiderio invernale, è pallida, è morta ma torna viva, mangia il frutto proibito, è legata al numero sette, etc.), ma anche qui si è preferito farne un emblema di un qualche indefinito bene, senza troppi conflitti interiori, se non l’indecisione abbozzata tra un antico amore infantile e un cacciatore ombroso e alcolizzato.

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