"Che sia la decenza, poi, non possiamo più intendere a livello di massa: credo, suppongo, sia una specie di vergogna che l'anima prova di fronte al mentire". ANNA MARIA ORTESE
Rifletto su queste parole della Ortese, sulla decenza quale vergogna davanti al mentire agli altri e a noi stessi. La menzogna collettiva che l'animale non umano non senta dolore, non abbia essenza spirituale o uguale diritto alla vita. La menzogna individuale che vi sia un male necessario che infliggiamo all'altro. Semmai c'è un male inevitabile nell'essere vivi, nell'incontrarci e abbandonarci, nel fraintenderci, nel riempirci l'un l'altro di aspettative.
C'è un male che solo si riscatta nel volere la gioia e riconoscerla, nell'accettare la grazia - che poco ha di divino e moltissimo dell'occhio lucido, strano, commovente della bestia.
C'è la menzogna di chi pur di non guardare la limpidezza dell'amore, di ogni amore, la ridicolizza, la nega, la trasforma in richiesta inaccettabile, in accusa. La menzogna di chi per paura, egoismo o pena personale mutata in grettezza, non sa dare risposta a chi ama, e usa quell'amore come un'infinita disponibilità da parte dell'altro a lasciarsi calpestare.
Cerco di restare decente nel mio vivere e di pretendere questa decenza, perché a un certo punto vivere è anche non sentirsi più chiamati a pagare debiti mai contratti con chi semplicemente non ci ama. Volontà e desiderio: essere amata, vista, rispettata, nella stessa misura in cui amo, vivo, rispetto, e stare perfino in quell'adorazione senza tempo che appartiene all'amore carnale e spirituale, al sesso e al sogno.
Sapere l'animale in me e negli altri, senza giustificare alcuna brutalità. Ricordare la promessa fatta al passerotto ucciso dal gatto, molte vite fa, e al gatto nella sua crudele innocenza. Ricordare che non esiste vergogna nel mettere sopra tutto la sofferenza degli animali, perché è la stessa della nostra innocenza più volte repressa, è la parte che si aspetta il bene, come scriveva Simone Weil: il sacro dentro ognuno di noi. Chi riconosce questa sofferenza, riconoscerà il fratello o la sorella, chiunque sia, in qualsiasi forma. Vorrà fortemente quella fratellanza. Chi la riconosce non tradisce l'infanzia e resta tenace nella volontà di sopravvivere, aggiustando le fratture senza nasconderle.
Allora, questo auguro a me stessa e al mondo degli amanti, dei viventi: che la decenza diventi la fermezza dell'amore. Innocente, ingenuo, prepotente, fragile, ragionevole, chiarissimo nel buio. Come sempre.
Grazie Franci
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