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Richard Adams |
Una storia di conigli
“È solo una storia sui conigli”, rispondeva Richard Adams un po’ spazientito a chi gli chiedesse il vero significato del suo capolavoro Watership Down, in italiano La collina dei conigli, pubblicato per la prima volta nel 1972 e destinato a diventare una delle storie di animali più famose al mondo. I suoi conigli, voleva dire l’autore, non sono né allegorici né morali – il racconto nacque per accontentare le due figlie che gli chiedevano una favola, durante un lungo viaggio in auto. Adams cominciò con la prima cosa che gli venne in mente: due conigli selvatici che decidono di abbandonare il luogo natio.
L’esile e nervoso Quintilio (Fiver), ultimo nato della sua famiglia, ha una visione spaventosa sul futuro della conigliera, di cui mette subito a conoscenza il fratello maggiore, Moscardo (Hazel), dicendo che devono andarsene subito. Moscardo gli crede e cerca di allertare il capo, che però non gli presta ascolto. Altri al contrario si fidano, a cominciare da alcuni appartenenti all’Ausla, la casta militare: Parruccone (Bigwig), grosso e impavido e il robusto Argento (Silver), seguiti da Ramolaccio (Buckthorn), che nella casta avrebbe fatto carriera; gli amici di Moscardo, Mirtillo (Blackberry), dotato di acume e intelligenza, Dente di Leone (Dandelion), velocissimo e abile cantastorie, e Nicchio (Pipkin), il più piccolo di tutti; e i tre gregari Ghianda (Acorn), Lampo (Speedwell) e Smerlotto (Hawkbit). Così, in undici, si avventurano nel mondo, in cerca di un posto dove vivere in pace, ben consapevoli che: a) nel gruppo mancano coniglie e quindi la possibilità di prosperare; b) là fuori è pieno di pericoli per un coniglio.
I luoghi del loro viaggio sono reali e si collocano nel sud-est dell’Inghilterra: il borgo di Sandleford, dove è situata la conigliera d’origine, si trova sul confine fra Berkshire e Hampshire, mentre il colle Watership e la fattoria Nuthanger fanno parte della contea dello Hampshire. Adams arricchì le sue idee sulla fauna con le informazioni ricavate dal libro The Private Life of the Rabbit, pubblicato dal naturalista R.M. Lockley negli anni Sessanta. L’unicità di Watership Down è data dalla rappresentazione dei conigli selvatici quale comunità con una sua struttura sociale, un suo credo e un idioma, il lapino, di cui incontriamo varie tracce nel libro, in parole come elil (nemico), silflaia (l’atto di nutrirsi nei campi e mangiare l’erba), hlessi (un coniglio vagabondo). Dopo molti anni che il libro sostava nella mia biblioteca mi sono decisa a leggerlo, sperimentando quella completa immersione che impedisce ogni altro pensiero, tipica delle letture infantili. A libro chiuso, stento a prendere congedo: una parte di me vaga tra le colline inglesi, alla ricerca della nuova conigliera, e ripete parole in una lingua altra. Per questo vorrei far durare il sentimento ancora un po’, scrivendo di Moscardo, Quintilio e gli altri attraverso i vari episodi e oltre la fine.
Una stirpe indistruttibile
Le preoccupazioni del viaggio sono alleggerite dalle storie di Dente di Leone. Sono storie che tutti i conigli conoscono e amano sentirsi ripetere. Parlano del Principe dai Mille Nemici, El-ahrairà, progenitore e trickster, un briccone che sfida le divinità per il bene del suo popolo, e che riesce sempre a cavarsela. Grazie alle avventure di El-ahrairà e del suo amico Ravascuttolo (Rabscuttle), si delinea l’ordine spirituale, d’impronta animista, che regge il mondo. Frits, personificazione del sole, è la massima divinità; accanto a lui troviamo altri personaggi, come il Principe Arcobaleno. Con entrambi El-ahrairà ha un rapporto conflittuale: è l’alba dei tempi e sembra che niente sia impossibile per il popolo dei conigli. Altro che animali timidi! Grazie alla sua intraprendenza El-ahrairà riceve da Frits la benedizione che ricadrà su tutta la sua progenie, ma nello stesso momento ne conosce anche la sorte.
Frits tornò amico di El-ahrairà, visto che era così ingegnoso e visto che non si dava per vinto, benché pensasse che la volpe e la faina stessero per arrivare.
“E va bene,” gli disse “benedirò dunque il tuo didietro che fuoriesce dalla buca. Didietro, sii la forza e sii il monito e la velocità per salvare in sempiterno il tuo padrone. E così sia!”
Detto ch’ebbe, a El-ahrairà spuntò una coda bianca che splendeva al pari di una stella; e le zampe posteriori gli divennero lunghe e potenti; e lui si dette a percuoterle contro il fianco della collina, così forte, che perfino i maggiolini cadevano dagli steli.
Uscito dalla buca si mise a correre più veloce di qualsiasi altro essere vivente. E Frits gli gridò dietro:
“Ascolta, El-ahrairà. Il tuo popolo non potrà dominare il mondo intero, perché io non lo permetto. Tutto il mondo sarà vostro nemico. E chi t’acchiapperà, t’ammazzerà, Principe dai Mille Nemici. Però prima dovranno pigliarti. Tu sei bravo a scavare e veloce nella corsa, principe, d’udito fine e tutti i sensi all’erta. Sii dunque astuto e inventa stratagemmi, e il tuo popolo mai verrà distrutto”.
Allora El-ahrairà capì che Frits, benché non si lasciasse canzonare, era pur sempre suo amico.
Tutto è manifestamente precario per un coniglio. E poiché non ha, all’apparenza, zanne o artigli abbastanza potenti per affrontare i nemici, deve imparare a ricorrere ad altre qualità, magari meno evidenti. È la coda a ricevere la benedizione: la parte più umile del corpo. È la fuga, mescolata alla furberia, a garantire l’esistenza. Accanto a El-ahrairà si mostra un altro coniglio più oscuro: il Coniglio Nero di Inlé, emissario della morte. Quando un coniglio muore, i sentimenti dei suoi compagni sono diversi da quelli che mostrerebbero gli umani: il dolore si concentra nel qui e ora, perché dopo la vita del gruppo riprenda. Il tempo di un coniglio è rapido. Non si tratta di indifferenza, piuttosto di legge di necessità. L’intensità di una perdita è uguale al desiderio di vivere, non tanto come individuo, ma come popolo. Un coniglio solare batte la zampa sul suolo, chiamando tutti a godere dell’erba; nel frattempo la sua ombra si allunga cupa in un altro coniglio in attesa. Nel loro incontro la stirpe si riconosce, a volte si sottomette e si rassegna, altre avanza, trasformando tutta la grande paura nel coraggio della sopravvivenza.
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Illustrazione di Aldo Galli |
Preveggenza
Per il personaggio di Quintilio, Adams si ispirò alla greca Cassandra, le cui previsioni erano tanto veritiere quanto inascoltate. Qui le cose vanno diversamente: i conigli del gruppo imparano a credere nel loro profeta. La fragilità fisica di Quintilio è un segno del dono sciamanico che ha ricevuto, che gli permette di vedere cose invisibili al resto della sua specie. Così in apertura:
In quel punto la terra era stata smossa di fresco, e fra l’erba ce n’erano due mucchietti. Un paio di pali robusti, redolenti di creosoto e di vernice, piantati nelle buche, torreggiavano sopra la siepe, alti quanto agrifogli. E la tabella a essi fissata stampava un’ombra lunga sul prato. Accanto a uno dei pali erano rimasti un martello e alcuni chiodi.
I due conigli si fecero più da presso, a saltelli, e andarono ad agguattarsi in un cespuglio d’ortica, lì vicino. Arricciavano il naso all’odore di alcuni mozziconi di sigaretta, fra l’erba. D’un tratto Quintilio cominciò a rabbrividire e rannicchiarsi su sé stesso.
“Oh, Moscardo! È da qui che proviene! Ora lo so… Una cosa molto brutta! Qualcosa di terribile… E vicina, vicina”.
Piagnucolava dalla gran paura.
“Che genere di cosa?... che vuoi dire? Poco fa mi dicevi che pericoli non ce ne sono”.
“Non lo so, che cos’è” rispose Quintilio, desolato.
“Qui non c’è nessun pericolo, per ora. Ma si sta avvicinando… è in arrivo. Oh, Moscardo, guarda! Il prato! È coperto di sangue!”
“Non dire stupidaggini, quello è il rosso del tramonto. Su, Quintilio, non parlare a quel modo mi spaventi”.
I conigli non possono sapere che il terreno verrà edificato, ospitando una moderna area residenziale. Non sanno leggere la lingua degli umani, o immaginarne le ragioni, anche se dell’umano riconoscono i segni con disagio. Tuttavia la presenza di elementi inusuali è sufficiente per allarmare Quintilio, per cui il prato non è affatto inondato dal rosso del crepuscolo, ma dal sangue dei suoi simili. La conferma delle sue qualità arriva tragicamente per gli undici, quando si rifiuta di aggregarsi alla conigliera di Primula Gialla, un coniglio che sembra aver perso molto della natura selvatica. La nuova conigliera ha ritmi rilassati, tane e cunicoli che convergono in una vasta sala sotterranea; il cibo proviene dagli umani, che lasciano ampie porzioni di raccolto a disposizione degli animali. Perfino i vecchi miti non hanno più alcun significato. Le parole del loro poeta Cinquefoglie, tuttavia, stridono con il benessere della conigliera: sono piene di rassegnazione e tristezza. Quintilio le vede per quelle che sono - invocazioni alla morte, con cui i conigli coabitano. Nei campi gli uomini hanno sparso lacci, in cui gli animali restano intrappolati, fino a morire. Quando un coniglio non fa ritorno, viene dimenticato. Tutti hanno accettato questa sorte, non riescono a immaginare di tornare affamati, smilzi e senza casa, sebbene liberi. Le loro leggi non scritte sono: non fare domande; non soccorrere nessuno. L’agiatezza, per quanto effimera, ha sostituito la solidarietà. E anche l’ospitalità verso gli undici è un inganno: il loro arrivo aumenterebbe solo le possibilità di salvarsi dalle trappole per gli altri. Quando Parruccone per poco muore dentro il laccio, tutti gli undici si danno da fare per aiutarlo, mentre gli altri voltano le spalle. Il coniglio Ribes (Strawberry) dopo aver perso la compagna, si unirà a loro, imparando di nuovo la selvatichezza.
Non è facile avvertire l’inganno, specialmente quando si è stremati e spaventati dal futuro. È facile invece abituarsi a qualsiasi cosa sembri più invitante di una notte all’aperto. Quintilio ha il ruolo della coscienza intuitiva: ripete che non tutto è come sembra. Le sue visioni arrivano come presentimenti, sogni, possessioni. Nel sogno vede il fratello Moscardo, dato per morto, ferito dentro un canale di scolo; nel momento del pericolo il suo corpo si scuote, la sua voce si modifica, indicando la soluzione ai compagni e lasciandolo stremato, quasi cadaverico. Quintilio sarà sempre un po’ altrove rispetto ai compagni. Tutto il suo corpo vede. Il dono non gli mostra il futuro, ma lo avverte dei cambiamenti che un certo presente porterà: le tracce sono nel paesaggio. Mentre i compagni conoscono i luoghi fisicamente, lui li comprende spiritualmente.
Un coniglio pieno di risorse
Le qualità di Quintilio, come degli altri, non verrebbero apprezzate se il capo non fosse Moscardo, un giovane coniglio che viene definito fin da subito pieno di risorse. Il romanzo è in molti sensi la storia della maturazione di Moscardo, che guida gli esuli al colle Watership, alla costruzione dell’Alveare, la nuova conigliera, e infine nella ricerca delle coniglie. Egli è un esempio di come si diventa un buon capo, prendendosi cura della propria gente. Molti politici trarrebbero un’ottima lezione da questo straordinario libro, sempre che fossero in grado di capirlo. Ma anche chiunque si trovi a gestire una situazione di gruppo e responsabilità, e voglia garantirsi la stima e la fiducia degli altri il più a lungo possibile, meritandosele. La forza di Moscardo risiede nel suo sapersi fare da parte, per lasciar emergere le caratteristiche di questo o quel coniglio. Per indole non lascia indietro nessuno: ama accompagnarsi a conigli fieri come Parruccone o Argento, ma si preoccupa ugualmente per i più deboli, come Quintilio e Nicchio. Quest’ultimo in particolar modo nutre una fiducia e un affetto profondi per Moscardo e, nonostante sia terrorizzato, non esita a offrirsi di accompagnare l’amico in imprese più grandi di lui. Eppure la stazza minuta di Nicchio si rivelerà risolutiva nel liberare Parruccone dal laccio. Così piccolo può spingersi col muso nella buca che contiene il piolo, fino a rimuoverlo. Il coniglio più intelligente del gruppo è il mite Mirtillo, ma la sua intelligenza brilla grazie a Moscardo che vi si affida nei momenti difficili. Grazie a Mirtillo i piccoli Quintilio e Nicchio riescono ad attraversare il fiume, montando su un pezzo di legno che viene spinto, quale zattera improvvisata, da Parruccone. E sempre grazie al suo spirito attento questo stesso stratagemma sarà utilissimo in seguito per salvare tutti quanti, usando una vera barca. Moscardo comprende che non pensare solo per sé, ma prestare aiuto anche ad altri animali in difficoltà può essere un ottimo metodo per creare alleanze solide davanti al pericolo. Questa è forse la sua intuizione rivoluzionaria. Prima salva un topo sul colle Watership, poi, insieme a Parruccone, presta aiuto al gabbiano Kehaar, che trascorre tutto l’inverno con loro. Kehaar, legato ai conigli da vincoli di riconoscenza e a Parruccone da reciproca stima, sarà per i conigli un’arma segreta nella missione di liberazione delle coniglie da Efrafa, vero e proprio stato totalitario, retto dal generale Vulneraria (Woundwort), un coniglio formidabile e spietato. Nell’unico incontro fra Moscardo e Vulneraria, prima che i conigli di Efrafa attacchino l’Alveare, il nostro è zoppo, in seguito a un incidente, e non viene riconosciuto come capo. Non ne ha le qualità fisiche. Lui, del resto, si presenta come un semplice messaggero che cerca di stabilire un accordo pacifico e fruttuoso per entrambi. In quel momento assistiamo al confronto tra il buono e il cattivo capo: il primo che guarda al destino di tutti, l’altro che mira esclusivamente all’affermazione personale. Comunità contro sopraffazione. Fiducia e amicizia contro timore e soggezione. Certo, comunità, fiducia, amicizia, sono termini lenti, buoni per bestie zoppicanti… ma che passo dopo passo vanno lontano e, anche lasciato il vecchio corpo nella morte, sanno unirsi a El-ahrairà nei campi celesti condividendone la spensieratezza, la gioia e l’imprevedibile astuzia.
Coraggio
Il generale Vulneraria e i suoi capitani, sono convinti che il capo della conigliera sia Parruccone, temerario e massiccio. Keharr considera soltanto Parruccone quale suo pari. Parruccone è colui che viene invocato disperatamente dal capitano Pungitopo (Holly), membro dell’Ausla della conigliera di Sandleford, unico superstite insieme all’allegro Campanula (Bluebell), dopo che la visione di Quintilio si è avverata e i poveri conigli sono stati sterminati con il gas o il fucile. I nostri dodici (compreso Ribes!) si stanno per stabilire sul colle Watership, quando un Pungitopo dalle orecchie ferite e quasi folle, li raggiunge urlando il nome lapino di Parruccone: Sglaili. Il capitano dell’Ausla, che all’inizio della storia aveva cercato di fermare i fuggitivi, ha mantenuto un minimo di senno grazie alla presenza di Campanula, il giullare, che ha continuato a dirgli buffonaggini durante tutto il viaggio. Nonostante l’orrore Pungitopo non si è arreso alla morte nell’unica speranza di rivedere Sglaili, unirsi a lui e agli altri, dir loro che avevano ragione. I nostri conigli sul colle Watership sono ora quattordici. Presto aumentano, grazie all’aggiunta di tre conigli domestici, di cui due femmine, liberati nei pressi della fattoria Nuthanger. Ma occorrono altre coniglie per garantire la sopravvivenza del gruppo. È Kehaar a dir loro di Efrafa, dove i conigli sono troppi rispetto allo spazio e alle tane disponibili. Come scritto sopra però Efrafa è sotto regime militare: la prima spedizione di ricognizione amichevole, capitanata da Pungitopo, fallisce e, con grande difficoltà, i conigli riescono a fare ritorno. Rassicurati tuttavia dalle sensazioni di Quintilio, molti ripartono alla volta di Efrafa, studiando un piano di infiltrazione, liberazione e fuga via fiume, grazie a Mirtillo. L’eroe scelto è Parruccone che si spaccia per un coniglio desideroso di unirsi al corpo militare, dove viene subito inserito grazie alla sua stazza. Comincia a mettere in atto il piano, ma … c’è un ma. Parruccone è impulsivo e generoso. Qui ha modo di mostrare il suo coraggio, andando ben oltre quanto richiesto dai compagni e riscattando il coniglio Nerigno (Blackavar), imprigionato e condannato a morte certa, per aver tentato di fuggire da Efrafa. Parruccone non lo lascia indietro, guadagnandosi un’ulteriore carica di stima. È forte, non brutale. Conosce i suoi limiti e lo dimostra più volte, accettando di fare come gli viene detto dai più acuti Moscardo e Mirtillo, o chiedendo scusa al piccolo Quintilio per aver dubitato di lui. Sebbene sia, giustamente, lui ad avere la meglio nello scontro fisico con il generale Vulneraria, negli ultimi capitoli della storia, la sua forza e il suo coraggio risiedono nell’umiltà. Ciò che deve essere fatto è più importante del volere individuale. Ognuno è portatore di qualcosa nella comunità e per questo va rispettato, non sottomesso. Moscardo ha il raro potere di spingere i suoi compagni a dare il meglio di loro. Parruccone l’altrettanta rara energia per difenderli e ha un ruolo di spicco nel salvare la conigliera. Ma sa che lui stesso deve la vita al giudizio di Moscardo, alla visione di Quintilio e ai denti del fragilissimo Nicchio – un coniglio che, in situazioni normali, nessuno appartenente alla casta militare avrebbe degnato di uno sguardo.
Una storia ecologica
Leggere oggi in piena pandemia Watership Down, dimostra che la preveggenza di Quintilio va ben oltre la storia. Come dicevo: conoscere il futuro, significa decifrare i segni del presente, mettendosi in ascolto, imparando a venire esiliati da tutte le certezze per intraprendere un viaggio ecologico, che conduca a nuove relazioni con gli esseri. Affermare che questa è una storia ecologica, non vuol dire che ne usciremo amando di più i conigli e disprezzando di più noi stessi o rimpolpando la vecchia e nociva dicotomia fra natura e umano, che vede la prima come positiva e l’altro come negativo. Io, personalmente, mi auguro anche che ameremo di più i conigli, animali che ho smesso di mangiare quando ero molto piccola, esprimendo il mio primo “no”, davanti alla carne. Questa tuttavia è una parte minuscola della questione. Mi risuonano le parole del dialogo fra Quintilio e Pungitopo, dopo il racconto della distruzione della conigliera.
“Quanto male c’è al mondo”.
“È dagli uomini che viene”, disse Pungitopo. “Tutti gli altri elil fanno quello che devono fare e Frits li spinge come spinge noi. Vivono su questa terra e hanno bisogno di nutrirsi. Gli uomini invece non sono contenti finché non hanno rovinato la terra e distrutto gli animali”.
Siamo davvero così? La risposta veloce è: sì. L’altra è: sì, ma possiamo cambiare. Come Moscardo possiamo credere al nostro fratello strampalato e sensitivo, che parla in poesia invece che in prosa. Possiamo desiderare di non tradire la fiducia di un esile Nicchio. Possiamo pensare che la nostra forza è inutile se non siamo pronti, come Parruccone, a rischiare tutto per soccorrere qualcuno che agonizza. Come Mirtillo possiamo ricordare cosa ci è stato utile, invece che cercare vie rapide al successo. Come Pungitopo possiamo camminare per chilometri, esausti e pieni di pena, per dire a un vecchio amico che aveva ragione e così ricominciare a vivere. Come Dente di Leone o Campanula possiamo raccontare una storia che ci renda indistruttibili nella speranza. Perché quest’avventura di conigli antropizzati nella cultura e negli usi, fa in modo che noi ci avviciniamo alla loro prospettiva di fuga, perdita, timore, che è la nostra e quella di qualsiasi essere davanti alla sopravvivenza. Possiamo cambiare tramite atti di comprensione. Lasciando che altri traggano beneficio dal nostro operato, siano essi topi, gabbiani o creature ancora senza nome. Stare al mondo senza tanti proclami. E mentre procediamo verso il colle Watership esultare per un prato, dove consumare insieme una ricca silflaia, per un attimo salvi sotto il sole magnifico.
Sul
colle Watership
Leggendo la storia dei conigli che lasciano
la conigliera in cerca di un luogo
salvo, annuso l’aria, corro a quattro zampe
verso il colle Watership
nel sud dell’Inghilterra e siedo a questo tavolo
nel sottotetto e, oltre
la finestra, le case
della mia infanzia.
Per attraversare un mondo
occorrono un presagio, un po’ d’acume,
riconoscere nel dubbio gli alleati, un cantastorie
che trasformi le notti in antenati, e la fiducia
di non restare soli. La velocità
nascosta nella coda. È piena di correnti,
lacci, denti, la strada.
Scappare dai ratti, da homba
e lendri, dall’inganno in una poesia,
scappare nel fiume tenendosi a un legno, scappare
dal Nero Coniglio di Inlé che attende
dietro il sole. La paura percuote la terra.
Il piccolo sciamano fiuta il paesaggio
ostile, umano. Il prato
era sangue al tramonto.
Le
tane senza uscita. Un corpo sull’altro fino
a
soffocare. Se sei l’ultimo
nato devi sapere
che non ti bastano i muscoli
per saltare, ti serve lo spirito che vede
il presente, ti serve conoscere un odore
con la mente. Se sei una giovane guida devi
sapere che il Coniglio Sognante è in te,
il Coniglio dai Mille Nemici che sfida
l’Arcobaleno, fa di sé stesso un ponte, un mistero.
Là, sulla collina, immagina le generazioni.
Tieni accanto il più fragile, Hlao-roo.
Se sei un combattente devi sapere
gli orecchi a brandelli, il pelo opaco
degli sconfitti ma nella zampa un guizzo
pronto a bruciare. Accendilo, Sglaili.
Ci puliamo il muso nell’erba.
Tremiamo nell’aperto e nella luce
un freddo tagliente ci precede.
Ogni volta quello che deve, accade.
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