martedì 14 gennaio 2020

Sciamana



Ieri, in serata, cercando immagini sugli sciamani nella Siberia contemporanea, mi sono imbattuta in questa storia, dove una sciamana dal volto coperto dal costume tradizionale, racconta della sua vocazione e dell'arte di sciamanizzare. Nell'intervista si fa chiamare Alya. La lingua originale è il russo, qui tradotto in inglese; le cose che dice sono senz'altro note a chi ha letto di sciamanesimo artico-siberiano: l'abitare la soglia fra i mondi; avere animali guida (nel suo caso la martora e il gufo bianco), tra cui il più potente è senz'altro l'orso, animale totemico del nostro emisfero; esperire più volte la morte, fino a tenersela al fianco con distacco; il potere evocativo della preghiera rituale; la presenza in alcune tradizioni di un guaritore per famiglia; l'ereditarietà. 
Ciò che però io non sono riuscita a smettere di guardare sono quei pochi minuti di rito nel video, dal minuto 3.45 finché non inizia a parlare. Tamburo, offerte d'erbe e cibo al fuoco, danza, suono di campanelli che scacciano gli spiriti maligni, straordinari abiti tradizionali che non servono solo a coprire dal freddo, ma anche a favorire la trasformazione e il dialogo con la natura. Mi è apparsa come una delle udegan di Carolyn Hillyer, donna magica del Dartmoor. Tutto in lei è mascheramento, mistero, perfino trucco e artificio perché ogni vero sciamano ha qualcosa del trickster. Mi ha colpito quello che dice sulla paura - lo sciamano non deve avere paura di niente. Non perché è uno sciocco, ma perché, io credo, conosce il valore della paura e lo porta in sé. Solo chi si fa ancora spaventare dal mondo come da una vita sacra, può osservare ogni sua creatura e affrontarla. Sono stregata, ancora qui, con il corpo nella mia casa di collina appenninica e con la mente in una qualche taiga dello spirito.





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