mercoledì 29 giugno 2016

Volare sulla schiena del fiume. Note a margine de La città incantata di Hayao Miyazaki

Tempo fa ho scritto queste prose su uno dei miei film preferiti. Mentre le scrivevo capivo che erano la mia ode all'infanzia.



due città

Due città, due mondi. Uno dove tutto è in superficie: le case che sfilano dall’auto stanno sicure, immote negli anni. Un altro dove l’acqua si alza notturna sotto i pontili, porta navi cariche di spiriti. Uno dove si procede tirandosi dietro inconsapevoli la rete del passato, l’altro dove si perde il nome e l’identità e perdere è non toccare più un corpo nella forma conosciuta. Due città che potrebbero essere la stessa, circondata dal bosco dove si ammucchiano piccole case di pietra, altari votivi. Un fischio di vento le separa, l’inganno fragile, opaco come un muro di cartapesta, che non esista altro da vedere oltre il presente.
( Cosa vuol dire riconoscere? Come può l’acqua del mondo filtrarsi in me, scorrere dalla mia solitudine al tuo cibo, al te?)

l’apprendista

Nel paese dove si indossa l’anima la bambina deve lasciare il segno volatile del nome, tenerlo indecifrabile in un talismano. Nel paese dove si indossa l’anima è proibito approfittare dei doni – solo ciò che è offerto può nutrire, renderci sostanza. La bambina è nella storia ora, tra animali parlanti, creature grottesche, vecchie maghe avide e tutto è rovesciato:  coloro che avrebbero dovuto proteggerla sono privati dell’aspetto e del linguaggio a causa dell’ingordigia degli adulti – coloro che non sanno più intuitivamente rispettare i segreti – il suo restare è affidato ad un estraneo o qualcuno affiorato da un luogo lontanissimo della conoscenza. La bambina scende nelle caldaie del palazzo, nel fuoco dove si forgia il lavorio del tempo. Un uomo-ragno controlla la fornace, la trama della fiamma che scalda e asciuga. Tutto qui ha occhi, perfino la fuliggine che dorme nei buchi. La bambina abbandona i vestiti, solleva un pezzo nero di materia, la leggerezza faticosa dell’essere nessuno. Essere solo ciò che possiamo fare, un gesto, una pazienza. Lo spossessamento è il suo apprendistato.

assenze

Dentro il palazzo le stanze si moltiplicano - scale, porte, corridoi. Fuori crescono i frutti minuscoli della nostra salvezza. Bacche, mirtilli. Dentro il palazzo pensiamo che il nostro immaginario non ha fine o approdo l’attesa, soluzione la ricerca, destino la ricchezza dei suoi ospiti. Si dorme sulle assi e le finestre sono pitture del mondo all’esterno. Cosa succede agli oggetti riposti nei cassetti, alle pareti quando le abbandoniamo? Chi cammina senza la paura, addomesticato, sui pavimenti vuoti? Ora la pittura prende respiro, è un ritmo sui vetri. Piove incessantemente dal mattino.

ospiti misteriosi

Chi non ha volto non ha l’occhio per sentire la distanza. Il suo demone è la fame dell’altro, lo avvicina maldestro, confonde il contatto con la  conoscenza. Chi non ha volto non ama, ma desidera, vive da sempre la mancanza del suo nome. Si ingigantisce come un sacco scuro degli alimenti, persone che divora, ma non distingue i contorni, la specie di ciò che contiene. Senza volto terrorizza perché lui stesso non può descriversi, può volere solamente, senza soddisfazione. La bambina non lo teme: per un attimo sono uguali, abitano la debolezza e lo smarrimento. Senza volto non può offrirsi, ma vorrebbe, sbaglia ogni sua gentilezza. La bambina ha imparato che ogni ospite è un corpo apparente – deve ascoltarne il silenzio per capire. Oppure andare a fondo, dentro il fango, il ferrovecchio, il ciarpame, l’odore insopportabile che si attacca all’acqua scrosciante della vasca, al tatto. Avere il coraggio di afferrare, lavare le ferite che altri esseri umani infliggono alle cose naturali. Sotto le croste e la sporcizia c’è uno spirito di fiume. Come ritorna libera la sua trasparenza. Sotto la nostra fame materiale c’è l’acqua preziosa dell’eredità. Recuperare la memoria è fare pulizia.
  
fondo di palude

Quando noi ci amiamo ti trasformi in qualcosa che non posso trattenere. Ogni volta che sono stata bambina ho amato solo genti fantastiche, che parlavano lingue animali, che sapevano di nuvola e pericolo ed esplorazione. Mentre sono nel sogno tu mi stai nel sangue come terra, come luce toccata sott’acqua. Se tu sanguini e non hai pace io non posso che farmi più piccola, partire come tornando a casa, ed è tutto un biglietto di sola andata, questo poter ricordare, le mie mani, i tuoi denti, l’ossatura di carta del cielo, lo sprofondare di bosco e acquitrino. Chi dice che la palude è oscura non sa che è anche incolta e meravigliosa – intatta e come te sconosciuta. Mia protezione. O mio mondo infantile.

uguaglianza

Le cose stanno dentro la pioggia che è discesa, si estende in una pianura azzurra, solcata dalla ferrovia. Nei vagoni del treno non ci sono compagni, ma tracce di tutte le vite che non potremo attraversare, il paesaggio è senza interruzione, ci raccoglie nel rumore del pensiero. Le differenze sono onde che scompaiono calme tra le ruote, io non so più cosa è lontano né dove sia ieri, così arroccato e saldo. La bambina non sa dove riprenderà a camminare. Ogni viaggio è uguale all’ultimo, se ne esce come da un involucro, come scostando piano trame di se stessi dal futuro. Non so mai dove sei in quest’oceano della mia essenza - nella casa dal tetto di paglia appena superata, nel passeggero che scende con stanchezza, nella luminescenza che viene dal fuori nella notte. Se ti amo, quale parte amo di me. Come scelgo di sporgermi dall’acqua.

casa

Nonna, ho sempre creduto che tu abitassi qui, dove ci si ferma, non si può più oltrepassare. Che questa storia fosse quella che venivi tessendo, che mettevi nella tazza del tè nelle sere d’autunno. Che il sentiero della tua soglia portasse al conforto, alla restituzione. Nonna, in un tratto nel quale siamo ancora insieme e tutto non è più di pochi fili intrecciati, di nomi che si conservano anche se cambiano le fisionomie, le dimensioni. Ho camminato fino a te, ho volato nel fiume della lentezza, del dolore, della maturazione, come aggrappandomi alla schiena di un drago docile e temerario. E questo avviene in sogno, e dal sogno ne tengo il sapore negli oggetti, negli elementi minerali, la fiamma del camino, la pietra del suolo, l’aria che non mi trascina, ma sospende sul luogo dove divento ciò che sono. La bambina si sveglia e non ha perso niente di coloro che ama. Sa che ogni mondo è vero.

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