Come spesso capita alcune delle
vicende più curiose nei grandi eventi accadono a margine.
Arrivata per una toccata e fuga a
Più libri, più liberi, domenica 7
dicembre, ho un appuntamento con lo stand dell’editore Sur, dove Antonio
dell’ufficio stampa aspettava me e Orazio Labbate, autore de Lo scuru e compagno di avventura nella
collana “Romanzi” di Tunué. Ho un carattere suscettibile a variazioni d’umore
tanto forti, quanto improvvise – appena giunta al Palazzo dei Congressi
oscillo tra una smania incendiaria contro fiere, folle e grandi città
italiane e l’ansia che mi impedisce di fare quanto di più normale: fermarmi,
consultare il libretto, capire dove devo recarmi. Insomma sono nella piena
sindrome del “cane rabbioso”, come quei bambini funesti che iniziano a
scalciare e fare le bizze nel Peter Pan
nei Giardini di Kensington di Barrie. Ma basta poco per volare da
un’altra parte. Basta la prima dei due bambini, proprio varcata la soglia,
che mi viene incontro offrendomi il segnalibro di un misterioso romanzo.
Educata e un po’ intimorita mi ringrazia e augurato buon pomeriggio. Non
mi sono ancora resa conto di trovarmi proprio a pochi passi da Sur, collocato in
posizione strategica nel settore A, accanto all’entrata principale.
Vago ancora un po’ e infine
capisco dove andare, ritornando sui miei passi. È allora che mi chiama il
secondo bambino.
“Signora, le posso dare un
adesivo?”
“Certo, colleziono gli adesivi”.
(Cioè, bambino, colleziono tutto. Perfino i tappi del succo di frutta, ma questo
non importa, ora).
“Ah, allora grazie”, dice e fa
per voltarsi.
“Ma senti”, lo blocco io, “sei
qui da molto? E ti piace, ti diverti?”
“Sono qui da stamattina. Mi piace
insomma … certe volte mi rispondono male”.
“Eh, gli adulti sono così”,
concludo.
Il bambino sparisce e mi accorgo
di essere davanti a Sur. Mi regalano un libro di racconti di Pacheco che ha in
copertina dei gatti. Antonio ha un volto familiare: dopo poche battute scopro
che suona e frequenta alcuni tipi della scena musicale pistoiese – i Ka mate ka
ora, Alberto Mariotti, Mangiacassette.
“Una volta ho suonato anche in un
circolo Arci del centro, il Garibaldi”.
“Dai! Io sono andata spesso ai
concerti organizzati dal Fedi”.
“Sì, ci ha invitato lui. Era a
fine novembre dell’anno passato”.
“Ah, ma di sicuro c’ero! Stavo
sull’uscio – con un orecchio ascoltavo voi e con l’altro un amico dj, lettore
onnivoro e conoscitore dello scibile musicale umano, che mi ragionava fitto
fitto”.
Nel mentre arriva Orazio con il
suo chiodo che mi fa nostalgia, e la discussione vira sugli spostamenti, in
Italia o all’estero, dal sud a Firenze o a Milano, dalla Toscana
all’Inghilterra, che riguardano tutti e tre noi – forse perché anche se all’inizio
ci si muove per studio, lavoro o desiderio, alla fine pare quasi di comprendere
che le origini, con la loro ferita, si vedono meglio a distanza, quando si è
preso spazio e tempo, abbiamo rifiatato altrove.
E intanto si avvicendano autori,
lettori, amici, persone che chiedono informazioni, colori sgargianti dalle
copertine dei libri e dalle borse di tela ben ordinate in una scatola sotto il
banco, e tra gli amici un altro volto che non vedo da anni, un altro che migra
e che solo così si riconcilia con il luogo di provenienza, che a un certo punto mi rapisce per riprendere un discorso interrotto da qualche parte su
Sylvia Plath e Emily Brönte. Solo allora, prima di salutare Antonio e Orazio,
metto la mano in tasca ripescando l’adesivo di cui mi sono quasi scordata. Il
bambino. Sull’adesivo spicca un fuoco aranciato e la frase lungo bordo dice che
i libri bruciano, incendiano e quindi a loro modo devastano. Chissà se qualche
volta scaldano.
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