mercoledì 18 novembre 2020

Trovare un posto


Cosa significa trovare un posto? Il posto era già lì, prima che io arrivassi, resterà dopo, non è terra ignota, eppure la scoperta lo rende eccitante come un segreto. Quando trovo un posto (e potrei elencarne diversi, una lista di posti "salvi", in vari luoghi che ho abitato o dove ho semplicemente passato giorni o vacanze), ci porto i miei libri e il quaderno, ovvero l'amuleto a cui rivolgermi sempre non per il valore delle parole che ci scrivo, quanto perché scriverle a volte è come ancorarsi mentre ciò che ho intorno diviene liquido e sfuggente. 


Il posto non è lontano dalla mia nuova casa. Attraverso la strada principale, supero un grande rudere, risalgo fra le felci e passo per una macchia di querce che segna il limite del campo su cui mi affaccio. Davanti a me, un cipresso solitario. Sulla soglia che sto varcando, querce e corbezzoli. Fiori azzurri di cicoria. Ghiande senza più il loro cappuccio sparse fra le foglie sul terreno. Il campo è in parte coltivato, ci sono olivi, si intravedono case sui margini e sulle colline. Alla mia sinistra una quercia si affaccia su una vasca in pietra per l'acqua, ormai completamente diroccata. Non so quale fosse il suo uso. Serbatoio, lavatoio. Ma è lì che mi dirigo, dove la quercia incontra il segno umano più visibile e il segno del tempo che sappiamo riconoscere. L'acqua nella vasca rimanda un'altra quercia che cresce verso il basso, con le sue radici immaginarie nell'aria. Gli alberi specchiati nell'acqua, suggeriscono un altro mondo che sembra facile da raggiungere: basta sporgersi e smuovere la poltiglia di fogliame autunnale che ancora per un po' resiste a galla.


L'ora è pomeridiana, il pieno del sole prima del tramonto. A sud la montagna appenninica, con il suo crinale ammorbidito, eroso, appianato da secoli di vento. Mi fa pensare al Ben Bulben nell'ovest irlandese, che non c'entra molto, ma per qualche motivo un luogo conosciuto rimanda a un altro, con una forma di nostalgia e desiderio. L'ultimo mese si avvicina e, nonostante non ci sia traccia dell'inverno, la fine porta ancora la sua richiesta di colloquio intimo. 


Abbaiare di cani chiusi nei recinti e nei giardini; insetti che si posano sulla pagina; i colori che svaniscono l'uno nell'altro, nei pali, nelle recinzioni, nei tronchi, nelle erbe, nei frutti autunnali - varie tonalità di verde, rame, arancio cupo, ocra, marrone, bianco sporco, grigio, nero e rosso di bacche.Una signora con un soprabito porporino ripete per diversi minuti il solito giro intorno ai campi, seguita dal suo cane minuscolo. Quante sono le presenze che non riesco a vedere, di cui ignoro il nome. 
 

Guardo il cielo attraverso le foglie della quercia, lo guardo nel suo azzurro pulito. Il cielo mi fa dimenticare l'umano o forse abbraccia la mia umanità finché di lei non resta segno. 


Cerco i confini, gli ostacoli costituiti dalla macchia di bosco che a tratti riemerge, dai sentieri battuti, dalla collina che scende e mi impedisce di vedere dove va a tuffarsi. A volte cammino restando a sedere nel solito posto, sorpresa dalla molteplicità delle forme che lo popolano. Tutto viene incessantemente consumato, proprio come l'Appennino nei millenni. Quanto tempo occorre per chiamare un posto casa?


Nessun commento:

Posta un commento